Paolo VI, il Papa
che lo ha beatificato "Chi è colui che viene
proposto oggi all'imitazione e alla venerazione
di tutti?
E' un laico, che ha fatto della sua vita una missione
percorsa con autenticità evangelica...
E' un Medico, che ha fatto della professione una
palestra di apostolato, una missione di carità...
E' un Professore d'università, che ha lasciato tra
i suoi alunni una scia di profonda ammirazione...
E' uno
Scienziato d'alta scuola, noto per i suoi
contributi scientifici di livello
internazionale... La sua esistenza è tutta qui..."
Giovanni Paolo II, il Papa
che lo ha canonizzato "L'uomo che da oggi invocheremo
come Santo della Chiesa universale, si presenta
a noi come un'attuazione concreta dell'ideale del
cristiano laico.
Giuseppe Moscati, medico Primario ospedaliero, insigne
ricercatore, docente universitario di fisiologia
umana e di chimica fisiologica, visse i suoi molteplici
compiti con tutto l'impegno e la serietà che l'esercizio
di queste delicate professioni laicali richiede. Da questo
punto di vista il Moscati costituisce un esempio
non soltanto da ammirare, ma da imitare soprattutto
da parte degli operatori sanitari... Egli si pone
come esempio anche per chi non condivide la sua
fede".
I genitori La famiglia Moscati
proviene da S. Lucia di Serino, piccolo paese in
provincia di Avellino. Qui nel 1836 nacque Francesco,
il padre del futuro Santo, che si laureò in giurisprudenza
e percorse brillantemente la carriera della magistratura.
Fu giudice al Tribunale di Cassino, Presidente del
Tribunale di Benevento, Consigliere di Corte d'Appello,
prima ad Ancona e poi a Napoli, dove morì il 21
dicembre 1897.
A Cassino Francesco Moscati conobbe e sposò Rosa
de Luca, dei marchesi di Roseto. Dal matrimonio
nacquero nove figli: Giuseppe fu il settimo.
Finché visse, il padre del Santo ogni anno conduceva
la moglie e i figli al paese natale, per un periodo
di riposo e per stare a contatto con la natura.
Si recavano insieme nella chiesa delle Clarisse,
per partecipare alla Messa, che spesso Francesco
stesso serviva.
In due lettere S.Giuseppe Moscati
fa cenno al paese natale. La prima è del 20 luglio 1923,
scritta durante il suo viaggio in Francia e Inghilterra:
"Alle ore 14.20 partenza
per Modane, per la Francia. [...] Attraversiamo delle
valli chiuse da monti ricoperti di castagni (Borgone).
Qua e là il nastro argenteo dei fiumi: come è simile
questo paesaggio a quello indimenticabile di Serino,
l'unico posto al mondo, l'Irpinia, ove volentiere trascorrerei
i miei giorni, perché rinserra le più care, le più dolci
memorie di mia infanzia, e le ossa dei mie cari!"
La seconda lettera fu scritta il 19 gennaio 1924, dopo
aver appreso la morte di un suo zio:
"La fine di zio Carmelo
è il crollo di tanti ricordi cari legati alla sua persona.
Oh, le dolci memorie della infanzia, dei monti di Serino!
Cose e persone del paese di mio padre mi sono fitte
nel cuore indelebili; e la dipartita d’ogni testimone
della mia passata spensieratezza è una disillusione
di più: precipita la parte romantica della mia personalità.
E più mi sento solo, solo e vicino a Dio!"
Formazione umana e
cristiana Giuseppe
Moscati nacque a Benevento il 25 luglio 1880.
Figlio di Francesco, Presidente del Tribunale
di Benevento, e di Rosa de Luca, dei Marchesi
di Roseto, Giuseppe era il settimo di nove figli.
Fu battezzato in casa sei giorni dopo la nascita,
il 31 luglio 1880, festa di S. Ignazio Loyola,
da
Don Innocenzo Maio.
Nel 1881 il padre è promosso Consigliere di
Corte d’Appello e si trasferisce ad Ancona con
la famiglia. Nel 1884 è trasferito a Napoli
come Presidente della Corte d’Appello.
Il primo incontro con Gesù eucarestia, il piccolo
Giuseppe lo ebbe l’ 8 dicembre 1888 nella chiesa
delle Ancelle del Sacro Cuore di Napoli, nel
corso di una cerimonia celebrata da Monsignor
Enrico Marano.Non ci
restano altre notizie dell’avvenimento, ma possiamo
dire che quel giorno si posero le fondamenta della vita eucaristica,
che sarà uno dei segreti della santità del prof.
Moscati.
Dopo il corso elementare, Giuseppe si iscrisse
al ginnasio e, fin dall’anno 1889-90, frequentò
l’Istituto Vittorio Emanuele, dove conseguì
la maturità classica con ottimi voti nel 1897.
Due mesi dopo aver intrapreso gli studi di medicina,
il giovane Moscati è colpito da un grave lutto
che scaverà un solco profondo nella sua vita.
Il padre Francesco, due giorni dopo esser stato
colpito da emorragia cerebrale, muore il 21
dicembre 1897, dopo aver ricevuto i Sacramenti.
Nell’ambiente universitario, Moscati continuò
a distinguersi per la serietà e l’impegno ed
il 4 agosto 1903, con una tesi sull’urogenesi
epatica, conseguì la Laurea con il massimo dei
voti e la lode.
Morte
del padre e del fratello Alberto Nei primi tredici
anni di permanenza a Napoli, la famiglia Moscati
fu colpita da due gravi lutti. Il 19 dicembre
del 1897, lo stesso anno in cui Giuseppe si
era iscritto all'Università, il padre Francesco
fu colpito da emorragia cerebrale.
Tornava a casa dopo aver partecipato alla Messa
presso la chiesa dell'Arciconfraternita dei
Pellegrini, di cui faceva parte. Il 21 dicembre
1897, dopo aver ricevuto i Sacramenti e aver
affidato la moglie e i figli al primogenito
Gennaro, rese la sua anima a Dio.
Il 12 giugno 1904 si spense a Benevento, dove
si era ritirato presso l'ospedale "Fatebenefratelli",
il secondogenito Alberto. Nel 1892, durante
una parata militare a Torino, era caduto da
cavallo, riportando un trauma cranico, con sindrome
di epilessia.
Giuseppe Moscati frequentemente trascorreva
molte ore accanto al fratello per assisterlo.
Questa esperienza contribuirà a spingerlo, caso
unico nella famiglia, a scegliere gli studi
di medicina. La morte di Alberto gli causò un
dolore che ricorderà per tutta la vita.
Università
ed ospedale Conseguita la laurea,
università e ospedale furono i primi campi di
lavoro del giovane medico Giuseppe. Presto vinse
il concorso di Coadiutore straordinario presso
l’Ospedale Incurabili (1903), quello di Assistente
nell’Istituto di Chimica Fisiologica (1908)
ed ebbe lusinghieri riconoscimenti in campo
scientifico.
Nel 1906 ci fu l’eruzione del Vesuvio e Moscati
si distinse nell’opera di soccorso. A Torre
del Greco fece sgomberare l’ospedale ed egli
stesso aiutò gli ammalati ad uscire prima che
il tetto crollasse.
Due giorni dopo inviò una lettera al Direttore
generale sanitario degli Ospedali Riuniti, proponendo
gratificazioni per coloro che lo avevano aiutato,
pregando di non essere nominato.
Nel 1911, a trentun’anni, il dott. Moscati vinse
il concorso di Coadiutore Ordinario negli Ospedali
Riuniti, un concorso importantissimo che non
si bandiva dal 1880 e al quale parteciparono
medici venuti da ogni parte.
Il Prof. Cardarelli, che faceva parte della
commissione esaminatrice, rimase ammirato e
disse che in 60 anni di insegnamento non si
era mai imbattuto in un simile giovane. Perciò
lo ebbe caro per tutta la vita e lo scelse come
medico curante.
Prima del concorso Moscati, prevedendo che
ci sarebbero stati imbrogli e favoritismi, scrisse
al Prof. Calabrese, ordinario di Clinica Medica:
" ... Non posso
tollerare la copia degli altri, già troppo protetti,
e già lieti di prenotazione ai posti stessi,
che sono stati a loro fatti intravedere da amicizie
e compromessi pregiudiziali. [...] Io non agisco
per superbia, ma per un innato senso di giustizia.
Guai a toccarmi su questo punto!... "
Da allora gruppi
di giovani studenti e di giovani medici seguivano
Moscati di letto in letto nelle visite agli
infermi, per apprendere il segreto della sua
arte. Nel medesimo anno, su proposta di Antonio
Cardarelli, la Reale Accademia Medico-Chirurgica
lo nominava Socio aggregato e il Ministero della
Pubblica Istruzione gli conferiva la Libera
Docenza in Chimica Fisiologica.
Oltre
all’intenso lavoro tra Università e Ospedale,
il Prof. Moscati diresse e diede nuovo impulso
all’Istituto di Anatomia patologica, già diretto
da Luciano Armanni, che era decaduto per incuria.
Presto divenne "un vero maestro nell'esercizio
delle autopsie", come afferma il Prof. Quagliariello.
Luciano Armanni aveva fatto incidere sull'ingresso
della sala anatomica questa frase: "Hic
est locus ubi mors gaudet succurrere vitae."
(= "Questo è il luogo dove la morte è lieta
di soccorrere la vita"). Ma nella sala, scrive
il Prof. Nicola Donadio,
"mancava ogni
segno di religione, l'ambiente era severo ma
sconsolato."
Il Prof.Moscati ebbe l'idea di far collocare
su di unaparete della
Sala, ma in alto, come a dominare tutto l'ambiente,
un Crocifisso con un'iscrizione che non poteva
essere più felice: "Ero mors tua, o mors."
(= "O morte, sarò la tua morte"), citazione
del profeta Osea (Os 13,14).
Le autopsie per Moscati erano lezioni di vita.
Negli ultimi mesi del 1914 la signora Rosa,
mamma del Prof. Moscati, cominciò a stare molto
male, affetta da diabete, male a quei tempi
incurabile.
Moscati fu uno dei primi medici, a Napoli, a
sperimentare l'insulina.
La madre morì il 25 novembre 1914. Prima di
spirare, dopo aver ricevuto con grande devozione;
i sacramenti, disse ai figli che le si stringevano
intorno: "Figli miei, mi fate morire contenta.
Fuggite sempre il peccato, che è il più grande
male della vita".
Il 24 maggio 1915 l’Italia entrò nel conflitto
mondiale ed il prof. Moscati fece domanda di
arruolamento volontario senza, tuttavia, essere
esaudito. Le autorità militari gli affidarono
i soldati feriti che affluivano all’Ospedale
degli Incurabili, che venne militarizzato.
Visitò e curò circa 3000 militari, di cui redasse
diari e storie cliniche. Per questi egli fu
non solo il medico, ma il consolatore vigile
ed affettuoso.
Negli anni che seguirono, il prof. Moscati rinunciò
alla cattedra di chimica fisiologica presso
l’Università Federico II di Napoli.
Ne beneficiò l’amico e collega prof. Quagliariello,
indicato dallo stesso Moscati come sua alternativa.
Queste notizie furono fornite, con grande umiltà,
dallo stesso prof. Quagliariello, che sarà in
seguito Magnifico Rettore della stessa Università,
il quale dichiarò: "Quanti di questi
gesti di generosità Egli abbia compiuto è noto
soltanto a Dio, perché qualche volta sono rimasti
ignoti anche a coloro che ne trassero beneficio".
Statua collocata da S. Giuseppe Moscati
nell'Ospedale degli Incurabili
Primario dell'Ospedale degli Incurabili Dopo questa scelta cosciente
consapevole, il prof. Moscati si orienta definitivamente
verso il lavoro ospedaliero e nelle corsie dell’ospedale
impegna tempo, esperienza, capacità umane. Le
malattie e le miserie fisiche e spirituali saranno
sempre in cima ai suoi pensieri, perché i malati
- diceva -
"sono le figure di Gesù Cristo, anime immortali,
divine, per le quali urge il precetto evangelico
di amarle come noi stessi".
La fama di Moscati come maestro e come medico
era indiscussa. Tutti parlavano delle sue lezioni,
delle sue doti diagnostiche, del suo lavoro
tra gli ammalati.
Il Consiglio di Amministrazione dell’Ospedale
lo nominò Direttore della III Sala uomini. Era
il 1919. Così scrive Moscati in una lettera
del 26 luglio 1919: "Da ragazzo
guardavo con interesse all'Ospedale degli Incurabili,
che mio padre mi additava da lontano dalla terrazza
di casa, ispirandomi sentimenti di pietà per
il dolore senza nome, lenito in quelle mura.
Un salutare smarrimento mi prendeva e cominciavo
a pensare alla caducità di tutte le cose, e
le illusioni passavano, come cadevano i fiori
degli aranceti che mi circondavano.
Allora compreso tutto negli iniziati studi letterari,
non sospettavo e non sognavo che, un giorno,
in quell'edificio bianco, alle cui vetrate si
distinguevano appena, come bianchi fantasmi,
gli infermi ospitati, io avrei ricoperto il
supremo grado clinico."
Moscati docente
Nonostante la rinunzia alla cattedra universitaria, Moscati fu
sempre professore e maestro.
Se aveva scelto di stare vicino agli ammalati, non
per questo aveva rinunziato al'insegnamento,
in cui aveva la possibilità di incontrare i giovani
e comunicare loro.
Leggendo le testimonianze dei suoi allievi, dobbiamo
dire che egli aveva particolari doti per fare il
professore. A una preparazione solida, univa il
desiderio dell'aggiornamento, la passione per la
ricerca, una innata curiosità per il nuovo, la capacità
di spaziare nei vari settori della medicina.
Così scriveva il Prof. Moscati al Prof. Francesco
Pentimalli: "Ho creduto che
tutti i giovani meritevoli, avviatisi tra le speranze,
i sacrifici, le ansie delle loro famiglie, alla
via della medicina nobilissima, avessero diritto
a perfezionarsi, leggendo in un libro che non fu
stampato in caratteri neri su bianco, ma che ha
per copertura i letti ospedalieri e le sale di laboratorio,
e per contenuto la dolorante carne degli uomini
e il materiale scientifico, libro che deve essere
letto con infinito amore e grande sacrificio per
il prossimo.
Ho pensato che fosse debito di coscienza istruire
i giovani, aborrendo dall'andazzo di tenere misterioso
gelosamente il frutto della propria esperienza,
ma rivelarlo a loro..."
Filippo Bottazzi
conobbe Moscati fin dal 1905, e nel 1923 lo condusse con
lui al Congresso di Edimburgo. Ha scritto di lui: "Profondamente
religioso, sincero credente e assiduo praticante, non fece
mai ostentazione dei propri sentimenti, ma non tralasciò
mai di curare, insieme ai corpi, anche e innanzi tutto le
anime, e di avviarle verso quella luce che per singolare
grazia divina a lui sfolgorava, da abissi per noi impenetrabili."
Ma alcuni, vedendo che gli studenti si affollavano attorno
alla cattedra di Moscati, tramavano
per impedirgli d'insegnare. In una lettera di Moscati al
Prof.Pietro Castellino, del 22 maggio
1922, si ha l'eco di queste manovre, che gli procurarono
anche dei momenti di scoraggiamento: "E' che io sono in preda
ad un estremo esaurimento e a una stanchezza mortale, perché
dagli anni della guerra fino a oggi è un continuo lavoro
e una serie di emozioni pre me! Sono un essere sbagliato...
[...] non vivo più; passo le notti insonni..."
Come ognuno di noi, Moscati
non era impassibile dinanzi all'invidia e agli interessi
degli altri. La santità si innesta sulla natura umana, la
rispetta, ma contemporaneamente le fornisce i mezzi per
non soccombere e per elevarsi al di sopra di orizzonti angusti
e fallaci.
Quando infine conseguì la libera docenza, nonostante gli
ostacoli che gli avevano frapposto dinanzi, scrisse quella
sua riflessione che è tra i suoi pensieri più conosciuti: "Ama la verità,
mostrati qual sei, e senza infingimenti e senza paure e
senza riguardi. E se la verità ti costa la persecuzione,
e tu accettala, e se il tormento, e tu sopportalo. E se
per la verità dovessi sacrificare te stesso e la tua vita,
e tu sii forte nel sacrificio."
Nonostante le contrarietà
e i dispiaceri, Moscati sapeva però anche scherzare, e in
vari suoi scritti, compreso uno schizzo satirico, si vede
come fosse sagace e arguto. "Sebbene lontano, non lascerete
di coltivare e rivedere ogni giorno le vostre conoscenze.
Il progresso sta in una continua critica di quanto apprendemmo.
Una sola scienza è incrollabile e incrollata, quella rivelata
da Dio, la scienza dell'al di là!
In tutte le vostre opere, mirate al Cielo, e all'eternità
della vita e dell'anima, e vi orienterete allora molto diversamente
da come vi suggerirebbero pure considerazioni umane, e la
vostra attività sarà ispirata al bene."
San
Giuseppe Moscati nel 1923
Scienza e fede
Come spesso ai nostri giorni, anche ai tempi di
Moscati una concezione pseudoscientificaallontanava molti da Dio e dalla Chiesa,
quasi che la vera scienza fosse inconciliabile col
soprannaturale, e la tecnica potesse appagare le
vere aspirazioni del cuore umano.
Da studente, da medico e da professore, Giuseppe
Moscati non si chiuse mai nell'angusto cerchio degli
studi umani, ma seppe elevarsi a considerazioni
superiori, convinto che verità umana e verità divino
provengono da un'unica fonte: Dio verità infinita.
Significative sono a questo proposito tante lettere
di Moscati, come questa al Dott.Agostino Consoli di Lagonegro
(PZ), del 22 luglio 1922.
Un'altra considerazione su
questo tema dei rapporti tra scienza e fede è contenuta
in una lettera al Dott. Antonio Guerricchio,
di Matera: "Di quanti giovani mi sono
ricordato, promettenti, pieni di spirito di sacrificio
e di virtù, pervasi da giusto entusiasmo, e che
son dovuti arrivare dispersi, sopraffatti dal nepotismo,
dalla indifferenza, dall'egoismo dei sacerdoti della
scienza! [...] Non la scienza, ma la carità ha trasformato
il mondo,
in alcuni periodi; e solo pochissimi uomini son
passati alla storia per la scienza; ma tutti potranno
rimanere imperituri, simbolo dell'eternità della
vita, in cui la morte non è che una tappa, una metamorfosi
per un più alto ascenso, se si dedicheranno al bene.
Io ho sempre vivo nel cuore il rammarico di sapervi
lontano; e solo mi conforta che abbiate conservato
in voi qualche cosa di me; non perché valga nulla,
ma per quel contenuto spirituale, che mi sforzai
di trattenere e diffondere intorno: compito sublime,
ma tanto irraggiungibile con le mie povere forze.
Io vi tengo presente, siatene sicuro..."
Una ricetta
autografa del prof. Moscati datata 6 aprile 1926
La carta intestata riporta l'intestazione: Dott. Prof. Giuseppe Moscati
Docente di Chimica fisiologica e Clinica Medica
nella R. Università di Napoli
Medico Primario e Direttore
dei Laboratori degliOspedali Riuniti di Napoli
Socio aggreg. della R. Accademia medico-chirurgica
Via Cisterna dell'Olio,10
6 aprile 1926
la lieve febbretta
è dovuta a facili catarri,
ma per altro è sanissimo,
anzi di ottima costituzione
organica.
Eviti colpi d'aria, sudori raffreddati
etc.
si alimenti di tutto!
prenda un preparato iodico:
gocce di peptone
iodato Zambeletti: da 5a
cinquanta gocce, aumentando 2
gocce al giorno.
Moscati
Un ringraziamento particolare va ai
Gesuiti di Napoli che ci hanno permesso di attingere
copiosamente le notizie e le immagini, direttamente
dal sito dedicato a
San Giuseppe Moscati